3-Gatsu no Lion, conosciuto in Italia col titolo “Un Marzo da Leoni” propone, nel suo secondo arco narrativo, una tematica sociale spesso troppo spettacolarizzata in altre opere: quella del bullismo. Cerchiamo di comprendere insieme in che modo tale tema venga affrontato.


Per chi non lo conoscesse, 3-Gatsu no Lion ha come protagonista il giovane Kiriyama Rei, giocatore di Shogi professionista che vive la sua vita in solitudine evitando di intrecciare rapporti con chiunque. Il ragazzo si trasferisce lontano dalla famiglia adottiva, in un appartamento che arreda appena con un fornello e la sua Shogiban, nutrendosi di solo cibo precotto e studiando nuove tattiche di gioco per non perdere l’unica cosa che sembra dargli quel minimo di forza per alzarsi al mattino, ovvero lo Shogi. Lo stile di vita di Rei, segnato tra l’altro da un passato decisamente drammatico, lo porterà sull’orlo della depressione, ma è qui che farà la conoscenza della famiglia Kawamoto, composta dalle tre sorelle orfane Akari, Hinata, Momo e dal loro nonno, proprietario di una pasticceria. Rei, grazie alle tre sorelle, intraprenderà un percorso di crescita che lo porterà a uscire dal guscio nel quale si era rinchiuso, affrontando ciò che più lo intimoriva fino a quel momento: se stesso.

Benché sarebbe bello poter approfondire la prima parte dell’opera, in questo articolo come detto all’inizio ci concentreremo sulla seconda parte e in particolare sulla vicenda che coinvolge Hinata Kawamoto.

Sconsigliamo di proseguire per evitare spoiler.

La seconda stagione di 3-Gatsu no Lion si apre con toni meno cupi rispetto alla prima, mostrandoci un Rei più espansivo e coinvolto nella vita sociale, arrivando persino a creare il primo club di Shogi della scuola che frequenta. Ecco però che la trama subisce una brusca virata dal ritorno a casa di Hinata, visivamente provata e senza scarpe, che racconta di essere vittima di un gruppo di bulli della sua classe.

Dire “brusca virata” forse è riduttivo, considerando che già dagli episodi prima si intuisce che qualcosa non va dagli atteggiamenti e dalle parole di questo personaggio, solitamente allegro e pieno di energia.

Ed è così che Un Marzo da Leoni mostra con puntualità disarmante cos’è il bullismo: non una bomba, ma un veleno.

3-Gatsu non è l’unico anime/manga a trattare l’argomento, basti pensare a Naruto o al più recente My Hero Academia. È evidente però che in questi casi il bullismo viene affiancato a immagini fittizie, inserito in universi di fantasia e quindi posto su un piano decisamente irreale.

Prendiamo per esempio Midoriya Izuku protagonista di My Hero Academia, anche lui preso in giro dai compagni e dal suo ex migliore amico perché privo di poteri speciali. Quando Izuku perde ogni speranza, deciso ad adattarsi a una vita senza poteri in un mondo di eroi, eccoti arrivare All Might, super eroe protettore della pace, con la capacità di donare il suo potere a chi meritevole di possederlo. Ecco come Modoriya sconfigge i bulli: acquisendo, letteralmente, un potere eccezionale che unito alla sua forza di volontà lo porterà ad essere parte del mondo che fino al giorno prima lo emarginava.

Naruto è un’altra storia che basa la sua stessa esistenza sulla solitudine del protagonista. Un bambino che non piace a nessuno perché, suo malgrado, è il custode di un demone sanguinario. Naruto compie un viaggio molto faticoso per riuscire ad essere accettato dagli abitanti del suo villaggio, ma alla fine è proprio grazie a quel potere e all’accettazione del demone che ospita che riuscirà a mostrare il suo vero valore.

Quando all’inizio ho detto che il tema del bullismo viene spettacolarizzato in altre opere, mi riferivo proprio a questo.

Torniamo alla piccola Hinata Kawamoto, studentessa di una scuola media, che sogna di rilevare l’attività di famiglia creando dolci disegnati e cucinati da lei…

Nessun Super Eroe a donarle un potere sovrumano.

Nessun demone capace di risvegliare la sua forza nel momento del bisogno.

Solo una bambina vittima, per giunta, di un gruppo di bambine.

Non credo ci sia niente di più reale di ciò che viene mostrato in questi episodi, carichi di tutte quelle emozioni che caratterizzano una storia di bullismo.

Hinata Kawamoto viene presa di mira perché si espone in difesa di un’amica la quale, proprio a causa dei soprusi subiti, lascia la scuola. All’inizio Hinata reagisce: parla con l’insegnante, non raccoglie le provocazioni, cerca di non mettere al corrente la sorella maggiore, per risolvere da sola la situazione. Questo non ci viene mostrato, ma si intuisce da tutti quei micro frame dove la ragazza assume atteggiamenti distanti, sorrisi ambigui e pone domande non usuali alla sua personalità.

Poi a causa di quel veleno che episodio dopo episodio la stava lentamente spegnendo, Hinata arriva al limite della sopportazione e esplode, confessando tutto in un impeto di disperazione.

Quello che si viene a scoprire dal racconto e dai flash back della ragazza ha dell’assurdo eppure è molto vicino alla realtà.

Il mostro che perseguita Hinata non è un Super Villan o un ninja malvagio con manie di ogni potenza, ma una bambina. Una compagna di classe che semina il terrore con subdoli e fastidiosi scherzi carchi di malizia. Dispetti che da certi punti di vista non sembrano nemmeno tanto gravi. Eppure quegli stessi scherzi hanno portato alla depressione prima Chiho, la compagna che Hinata difende e poi Hinata stessa.

Quando Hinata confessa tutto si apre un altro capitolo che credo di non aver mai visto rappresentato in altre opere simili: combattere il bullo.

Ricordiamo che questa è una storia dove i personaggi sono posti in un contesto di normalità. Non ci sono level up o aumenti di auree che possano in qualche modo risolvere la situazione.

Prima di tutto viene posta una domanda all’apparenza sciocca, ma del tutto giustificata vista l’impotenza che si percepisce da esterni in tale situazione: è giusto intromettersi?

Una volta ascoltata la storia di Hinata, Rei si fa proprio questa domanda. Lui non è un membro della famiglia, non è un compagno di classe, non frequenta nemmeno la scuola di lei, ma è suo amico e ciò che l’istinto gli dice è di prendere il toro per le corna, trovare la bulla e dirle di smetterla. Il professore di Rei però, messo al corrente della situazione, gli spiega che la cosa più importante che dovrebbe prendere in considerazione non è ciò che prova lui, ma ciò che prova Hinata.

Credo sia un consiglio prezioso per chiunque sappia che un amico è vittima dei bulli: Spegni l’ego, non sei tu a doverti togliere lo sfizio di fare l’eroe, ma ascoltare e aiutare chi subisce i soprusi aiutandolo a reagire e trovando la giusta soluzione per lui, restandoli amico.

Dopo di che sarà proprio lui, la vittima, forte dell’amore che lo circonda a decidere come vuole gestire la situazione.

Il passo successivo riguarda la risoluzione del problema.

Infatti, nel corso della storia, ci troviamo davanti a una professoressa, perfettamente conscia della situazione, che decide di ignorare le richieste di aiuto delle vittime perché provata da anni di lotte e litigi tra le famiglie degli interessati. È così esaurita che la stessa Hinata a un certo punto prova compassione per lei.

Poi la bulla, una bambina che nega, ovviamente, tutto ciò di cui viene accusata. La madre della bulla, una donna risoluta che la difende a spada tratta. Infine Akari Kawamoto, la sorella maggiore di Hinata, che viene chiamata a rispondere delle illazioni di sua sorella e ad affrontare gli sguardi, il disprezzo e l’assoluto disinteresse che la scuola sembra avere davanti a questa vicenda.

Ecco perché continuo a paragonare il bullismo a un veleno che lento si insinua anche nelle vite di chi circonda vittima e bullo. Insegnanti, amici, famiglie. Tutti sono coinvolti e tutti sono sicuri di avere la ragione dalla loro.

Cosa fare allora?

La storia ci appare ferma a un punto di non ritorno, perché nessuno sembra essere in grado di sapere quale sia la risposta giusta e come uscirne.

Per fortuna a spezzare una tale catena di odio arriva un nuovo professore, deciso a distruggere l’impero di terrore che la bulla a messo in piedi nel corso dei mesi.

Il nuovo insegnante gestisce la cosa apertamente colloquiando in sede privata con tutti gli studenti della classe.

Un altro punto per l’anime: una storia di bullismo non è la storia della vittima che lo subisce. È la storia della vittima, del bullo e di tutta la classe che con il silenzio diventa complice della violenza.

Dai colloqui portati avanti dall’insegnante tutta la classe alla fine confessa e indica, finalmente, nome e cognome della colpevole che viene chiamata a rispondere delle sue azioni.

Ciò che ora, da cultori di anime e manga ci aspetteremo, è il rimorso della bulla o quanto meno che si giustifichi, propinandoci un passato complicato che l’ha portata ad essere la  ragazzina violenta che è adesso. Niente di tutto questo.

Quando il professore parla con lei la percezione è quella di trovarsi davanti uno dei killer sociopatici di Mind Hunter più che una bimba preoccupata delle conseguenze delle proprie azioni. Appare allora evidente che la bulla sia “semplicemente” e sinceramente inconsapevole del dolore che stava impartendo alle compagne, o meglio non è in grado di provare quell’empatia necessaria per capire dove finisce lo scherzo e dove comincia la violenza.

Ho usato il paragone con i killer di Mind Hunter per enfatizzare, ma non c’è niente di anomalo in un bambino che non capisce il male che impone, anzi è più comune di quello che si pensi.

Quando si sceglie di soprassedere a comportamenti goliardici, magari ridendoci anche sopra, si contribuisce a creare una personalità dominante come questa e quindi a un possibile bullo.

Non c’è niente di onorevole o divertente nel prendersi gioco degli altri, ma questo un bambino non lo sa, sopratutto se, invece di essere corretto (anche solo con le giuste parole) viene lodato.

Il nuovo professore di Hinata infatti si concentra sulla “riabilitazione” della bulla, cercando di farle capire dove ha sbagliato.

Questo arco narrativo non ci propone un lieto fine, ma ci mette nelle condizioni di sperare per il meglio.

Non ci è dato di sapere se alla fine la bulla si scuserà o se Hinata riuscirà a buttarsi tutto alle spalle, quel che è certo è che questa è una delle migliori conclusioni che si può auspicare in una situazione simile.

Troppi bambini e ragazzi sono vittime di bulli.

Bulli anche inconsapevoli di ciò che stanno impartendo al prossimo.

E 3-Gatsu no Lion rimane, nonostante i suoi molteplici pregi nel trattare l’argomento, un’opera di fantasia.

Ciò che però mi sento di consigliare a insegnanti e genitori (benché mi renda conto di non essere ne l’uno e nell’altro) è di cercare di lavorare il più possibile sul senso di comunità della classe.

Come detto se un bambino o ragazzo è vittima di bullismo non è solo a causa della violenza diretta che subisce, ma anche all’indifferenza o all’incitamento di altri compagni. Quindi è giusto concentrarsi sui benefici che possono portare il rispetto del prossimo e l’aiuto reciproco, piuttosto che sorvolare sull’isolamento o lo scherno. Perché nella storia che abbiamo raccontato, l’unica cosa che sembra portare speranza e favorire un lieto fine è la fiducia che si instaura tra i personaggi: tra amici, tra compagni, tra studenti e insegnanti, tra figli e genitori/fratelli.

Percepire la violenza come un fallimento comunitario e non dei singoli individui, forse può portare a una presa di coscienza più ampia, meno concentrata sull’io e più propensa all’ascolto del prossimo.